Armando Zamboni «Pascoli» (1938)

Recensione a Armando Zamboni, Pascoli, Torino, Paravia, 1937 in «La Nuova Italia», a. IX, n. 10, Firenze, ottobre 1938, p.291.

ARMANDO ZAMBONI «Pascoli»

Il volumetto ha chiaramente un intento divulgativo e di ausilio scolastico: perciò va giudicato in base alle sue modeste pretese. Ma noi pensiamo che la divulgazione non debba essere la conferma della mentalità di chi deve essere educato, ma debba rappresentare anzi uno sforzo da parte del divulgatore di trarre il suo pubblico al proprio livello.

Non lodiamo quindi questo lavoretto che lascia in chi lo legge un’impressione falsa e gretta dell’anima e della poesia pascoliana.

Le informazioni sullo stato attuale della critica pascoliana non mancano, ma l’autore non sa servirsene per una collocazione piú storica e di gusto del suo lavoro. Tanto per citare: a proposito della prigione sostenuta dal Pascoli per idee politiche, «Non dobbiamo però muovere imperdonabile addebito al Poeta per questo suo trascorso giovanile, perché fu come una meteora che non lasciò traccia, e perché dobbiamo pensare che quasi tutta la gioventú intellettuale di allora era cosí infatuata» (p. 9).

Altrove in un breve riassunto della poesia italiana moderna: «È pacifico ormai che il Carducci ci ha dato la coscienza civile e il D’Annunzio ci ha destato il sentimento estetico. Il Pascoli, tra i due, tiene la parte della religiosità del Mistero intravveduto, del poeta che ha schiuso nuovi lembi di pensosità all’anime nostre. Perciò ci sentiamo, forse, piú vicini a lui: e a lui piú deve la poesia d’oggi, che, nella maggior parte, è religiosa, o almeno, assume tono spiccatamente religioso» (p. 13).

Naturalmente c’è una difesa della poesia civile del Pascoli e la logica sua presentazione di precursore: «Con quanta maggior forza ed esaltazione avrebbe cantato, oggi, il Pascoli davanti alla realizzazione miracolosa di un impero autentico, fruttifero, che darà lavoro a milioni di braccia, un impero quale allora era follia sperare?» (p. 74).

Apprendiamo anche, durante la descrizione estetica dei canti di Castelvecchio, che le popolazioni montanare del crinale tosco-emiliano avrebbero bisogno di una strada da Civago a Villaminozzo. «È un pezzo che si picchia su questo tasto, e le ragioni ideali e pratiche di quelle popolazioni ottengono consensi e consensi. Ma non basta; occorre che queste ragioni siano ascoltate molto in alto e che un Grande pronunci l’atteso e benedetto “sí”» (p. 49).